Americhe

Buenos Aires me encanta

Mille e una Buenos Aires. Quante città, dentro questa metropoli allegra e contagiosa, dove la gioia di vivere sa marciare insieme ad altre virtù. Non brilla soltanto la scanzonata spensieratezza sudamericana o il felice disincanto che accompagna i popoli latini: l’Argentina ha un passato solido e anche doloroso, ha conosciuto passioni e disillusioni, ha sofferto e sperato. E ha costruito una cultura robusta e profonda. Un esempio. Hanno bellissimi teatri, il Colon, innanzitutto, dove le visite guidate cominciano alle 8 di mattina, ma anche qui questa forma di spettacolo ha conosciuto la crisi. Però, almeno in alcuni casi, hanno saputo trasformarla in opportunità. El Ateneo è nato così, da un teatro chiuso diventato libreria. Gli scaffali pieni di volumi ora occupano quella che era la platea, sui palchi ci sono piccole sale lettura. Un successo enorme, fra i portenos, come si chiamano gli abitanti di Buenos Aires, e anche fra gli stranieri che vengono qui in processione.

Inventiva, capacità, tenacia. Oggi l’Argentina affronta con fiducia un futuro che sembra addolcire il domani. Prendi la compagnia aerea, Aerolineas Argentinas: lungo periodo di difficoltà, poi la svolta. Contributo statale dimezzato in tre anni, utili a portata del prossimo bilancio, servizi migliorati, investimenti, qualità. Il volo che tre volte la settimana collegava Roma con Buenos Aires è diventato quotidiano, l’aereo è stato cambiato e ora le 14 ore di volo si fanno su un comodo A330. Risultato, viaggiatori in crescita, aerei sempre pieni.

Si guarda avanti, ma senza lasciare che la memoria disperda quel che è stato. Basta andare a plaza de Majo, dove si ritrovano ancora le madri dei desaparecidos e non cessa la rivendicazione territoriale delle Malvinas, come loro chiamano le Falkland inglesi. Gente orgogliosa, sorridente, aperta, leale popola una capitale che sa perfino essere entusiasmante. Che sia Recoleta o San Telmo, Puerto Madero o La Boca, quartieri ricchi o ancora sfortunati, si lavora e si cerca di migliorare. Alle 7 di mattina i portieri di avenue Florida e dintorni, siamo nella elegante Recoleta, allagano i marciapiedi e puliscono con vigore. A San Telmo gli studenti sciamano verso la facoltà di cinema, la Cattedrale, che fu di bergoglio, apre le porte. A Palermo no, i ritmi sono più lenti e i negozi tirano su le saracinesche verso le 10. Non chiude mai la voglia di divertirsi, che fa di Buenos Aires una delle città più rumorose al mondo, sembra mantenga il quarto posto, ma anche una di quelle con la notte più lunga.

E’ tradizione il saluto al sole sulla terrazza della discoteca Pacha, affacciata sul Rio de la Plata, <le cui acque – scriveva Borges – hanno lo stesso colore del deserto>. E’ il rito propiziatorio, o di ringraziamento, celebrato dopo una lunga notte passata a ballare. Siamo a Porto Madero, fra design, modernità e vita mondana. Qui, con gli interni progettati da Philippe Starck, c’è il trendy “Faena hotel+universe”. L’universo, dicono, è quello dei “sogni che diventano realtà”. Fra i servizi, una scuola di “Bon Ton”, aperta anche ai clienti esterni. Non lontano, spicca “Tierra Santa”, l’unico parco a tema al mondo dedicato alla religione. Una discutibile ricostruzione di luoghi ed eventi biblici, dalla Creazione all’Ultima cena fino alla Resurrezione, riproposta ogni mezz’ora. Imitazioni non ce ne sono, per fortuna. Non si sa cosa ne pensi papa Bergoglio, che al contrario di quanto si dice e si pensa, in Argentina ha lasciato anche molti critici: <Un peronista della fede> lo definiscono, e non sembra un complimento.

Buenos Aires non vive di passato, ma sa custodirlo. Con qualche errore. Come quelle divisioni ancora profonde fra chi vanta antiche fortune fondate sul latifondo e chi ha sempre avuto fame di terre, e non solo di quelle. Diversità a volte evidenti, e perfino sottolineate, ma cancellate all’improvviso da enormi passioni che uniscono: che siano il tifo calcistico – anche se la Buenos Aires popolare è per il Boca e l’elite ricca per il River Plate – , il tango, l’orgoglio nazionalistico. E l’anima coraggiosa da vecchi pionieri. Vanno ancora di moda i giacconi in cuoio invecchiato, in perfetto stile gauchos, che qui non tramonta mai. Anche le signore adorano la tradizione e spopolano i pantaloni in pelle con il retro in stoffa. Ma serve una gamba lunga, che qui è fortuna rara. Tradizione è l’eleganza sobria del Club Frances, un raffinato albergo con 140 anni di storia, l’unico a Buenos Aires con un’impronta tipicamente francese e il motto della rivoluzione del 1789 – libertè, egalitè, fraternitè – impresso a lette dorate sulla boiserie del bar. Tradizione è l’esplosione di lusso ricercato in un raffinato edificio neoclassico, Palacio Duhau, che fu villa di un potente ministro e oggi è il Park Hyatt Hotel, uno dei più belli e celebrati di tutta l’America Latina.

Una sapiente conservazione non salva da qualche scomparsa: il Cafè Richmond, dove Borges assaporava la cioccolata calda, ha chiuso i battenti. Tortoni resiste su avenida de Mayo, con tavoli in legno e camerieri anziani che a passo di carica servono dulce de leche, churritos e caffè. Certo, poi c’è il tango, le milongas, il Cafè de los Angelitos. Passione da condividere, come il mate, la carne e un bicchiere di Malbec, il potente rosso argentino. Riti popolari. La forza di questo paese.

Tags: , , , , , , , , ,