Il Reportage

I mille volti di Pechino:
splendori e orrori cinesi

La Capitale di un paese che è ormai nel centro del mondo. Una metropoli che ha mille facce e al viaggiatore sa offrire grandi suggestioni : ma ad uno sguardo non superficiale scatena mille domande su democrazia, diritti umani, prospettive.

 

pekCittà%20proibita%20-%20PechinoC’è la Pechino che vuoi, nella Pechino di oggi. Mille e una faccia, mille e una possibilità. Perché ormai è metropoli travolgente, così simile a New York o Parigi o Londra, nelle sue nuove realizzazioni urbane, che prendendo un caffè da Starbucks e restando un attimo sovrappensiero si può legittimamente pensare, con tanti occhi a mandorla intorno, di trovarsi nel quartiere cinese di qualche grande metropoli occidentale. E non a Pechino. Stangone di un metro e 70 fasciate da tailleur neri, calze velate, tacchi 12 per ufficio, due telefonini, agenda elettronica, tre o quattro lingue governate con disinvoltura. Ma non è Manhattan, è il BD, business district, dove si fanno gli affari di oggi e di dopodomani, dove le multinazionali hanno installato i loro uffici e i grattacieli spuntano altissimi e nuovi ad ogni primavera. Molti sono anche alberghi, destinati essenzialmente agli uomini d’affari, perché possano stare vicini alle sedi dei loro incontri: chi viaggia per turismo, invece, farebbe bene a trascurare questi hotel e a dirigersi in una Pechino più centrale, almeno si rende conto di stare davvero in Cina. Perchè qui, nel BD, tutto è ipertecnologico, tutto ha grandi spazi, giardini e laghetti, stupefacenti gallerie con musica e immagini che scorrono nel gigantesco soffitto di un passaggio pedonale, fasci di luce che di sera trasformano un mall in una discoteca all’aperto, anche se negli angoli ci sono donne armate di scope di saggina che cercano di pulire cicche di sigarette e qualche antico residuo della vecchia abitudine dello sputo.

pekReality-cineseAFFARI E NON SOLO La Cina non corre, galoppa. E non soltanto negli affari. Anche nella proposizione di nuovi stili di vita. Cosa succede quando si entra in un albergo? Si va alla reception e ci si presenta. <Sono tal dei tali, ho prenotato una stanza>. Finito, non è più così. Nell’albergo The Opposite house, che potremmo anche tradurre <al contrario>, creazione del giapponese Kengo Kuma, architetto dell’ardire, la recption non c’è. C’è un allenatissimo personale che aspetta l’ospite alla porta. Anzi, gliela apre e al contrario di quello che accadeva, o accade ancora negli alberghi tradizionali, è chi accoglie che si presenta. <Sono Lin, benvenuto. Cosa possiamo fare per lei?>. Niente reception, contatto diretto, quasi da invito a casa. Certo, poi il resto può piacere o no, il buio di una hall dove una rete sembra voler imprigionare sguardi e pensieri, l’esasperata attenzione verso un design ricercato e non sempre funzionale. Ma questa è la Cina di oggi: sperimenta, propone, rivoluziona. Anche i due ristoranti dell’albergo, sprofondati nei sotterranei, senza una finestra che dia luce o respiro, sono un’altra invenzione discutibile, ma comunque un’invenzione. E con ottimo cibo, nelle versioni orientali o mediterranea.

<The Opposite> è in una delle zone vivaci della Pechino che vive anche di notte, con locali e localini, dove la severità del regime sa chiudere anche un occhio. Perchè conviene, perchè la notte fa girare denaro, perché è così che funziona il mondo. In un paese che controlla e spesso vieta Internet, la prostituzione è arrivata anche sulla rete: basta dare un’occhiata e ci si ritrova in un mondo di ragazze che si propongono come esattamente fanno le loro coetanee in tutto il resto del pianeta. Prestazioni e tariffe analoghe. Certo, qui siamo in Cina e la faccenda stupisce un po’. <In genere si organizzano in piccoli gruppi – spiega un occidentale che vive a Pechino da qualche anno – prendono in affitto un appartamento in uno dei grandi condomini sempre nella zona BD, dove capitano uomini d’affari, e dividono spese e camere. Anche se sono 5 o 6 ragazze, due camere da letto bastano, non capitano molti clienti contemporaneamente. Difficile che siano di Pechino: cercano di lavorare in città diverse da quelle dove sono nate o cresciute. Ma adesso che le tariffe si sono alzate, si viaggia a livelli occidentali, 150-200 euro ad appuntamento, sono arrivate anche le russe, che stanno un po’ sbaragliando il mercato. Ma le cinesine tengono duro>.

Piazza-Tienanmen-IMPERATORI DI IERI E DI OGGI Le mille Pechino. Fra Imperatori di ieri e di oggi. Le Olimpiadi hanno lasciato un segno concreto nell’architettura della città e cinesi e turisti si mettono in fila per visitare i templi della nuova Cina. Stadio e piscina, innanzitutto. Ma Tien an Men sbaraglia ancora ogni tipo di concorrenza. E’ il senso di infinito che c’è in questa piazza a stupire, è il saperla teatro di conquiste e tragedie, è quel mischiarsi di folle e popoli, dai mongoli in posa foto ricordo a smarriti viaggiatori di altre lontane zone di Cina che ne fanno un luogo unico. Che i cinesi governano con rigore militare. Sono capaci di chiuderla come un cortiletto, di sigillarla in pochi minuti attrezzando con una velocità che non si immagina blocchi stradali e attivando metal detector. Nei passaggi pedonali sotterranei che portano alla piazza, vengono allestiti con eccezionale rapidità veri e propri posti di blocco in ogni momento di crisi, quando si pensa e si teme che Tien an Men possa tornare ad essere quel teatro di speranze di libertà che tutti ricordano.

I cinesi restano capaci di diventare in un attimo crudeli e spietati. Sono rimasto spettatore muto e stupito di un drammatico interrogatorio avvenuto in mezzo alla strada, vicino ai rari hutong che fanno capire oggi cos’era la Cina di ieri. Due poliziotti, di quelli con la faccia cattiva, hanno bloccato una coppia di innocui anziani, deformati e sofferenti per gli acciacchi dell’età, costretti dall’artrosi e dal mal di schiena a camminare piegati in due. Erano smarriti in una Pechino che evidentemente non era la loro città. Cercavano qualcosa, forse un ufficio, ma non sapevano dove andare. Finchè hanno incorciato i poliziotti e a loro devono aver chiesto aiuto. Convinti di poterlo ricevere. Sono cominciate le urla, l’aria indispettita e feroce di chi pensa di difendere il paese scagliandosi contro i più deboli, contro chi non ha modo di difendersi. E allora i due vecchietti hanno tirato fuori i loro documenti, le carte diligentemente custodite in foderine di plastica, hanno provato a spiegare, a capire, a convincere quei poliziotti che loro non volevano fare nulla di male. Ma quei due gli hanno rovesciato addosso parole violente, come se fossero colpevoli di chissà quale violazione, come se fossero pericolosi malviventi. Si sono guardati, i vecchietti, smarriti, preoccupati, incapaci di capire quello che stava accadendo. Non sappiamo come sia finita, perché li hanno caricati su una specie di camionetta e li hanno portati via. E non sembravano avere buone intenzioni.

TianasquareNon sono simpatici i cinesi. Sono cinici e spietati, a qualunque livello, da chi commercia soia o fabbrica borse finte fino a chi governa i destini del paese e non si crea scrupoli nel fare scelte politiche anche contrarie ai principi fondanti della Repubblica Popolare per adeguarsi senza problemi alle necessità del momento: il massacro di Tien an Men resterà fra gli orrori da custodire nelle coscienze di tutti, così come le cannonate al Vietnam, colpevole di aver liberato la Cambogia dall’assassino Pol Pot, sanguinario amico dei cinesi, o le violenze nel Tibet, compresi gli stupri delle monache. L’Occidente ha responsabilità gravi, perché ha sempre preferito perdonare, o nascondere sotto una comoda coperta morale chiamata <non ingerenza nei fatti politici interni> le tragiche colpe cinesi. Pechino e il suo paese sono importanti per i rapporti commerciali e sono un mercato emergente. Così ci si può dimenticare facilmente dei diritti umani degli altri, quando si pensa ai propri soldi.

LE VERITA’ DI TERZANI Pechino ha un grande passato e un radioso avvenire. In questa lunga età di mezzo è quel che è. Lo capì subito, o quasi, Tiziano Terzani, che infatti non ebbe vita facile in questo paese e venne espulso. <Non ho scritto quello che ho scritto perché sono stato cacciato dalla Cina. Sono stato cacciato dalla Cina perché ho scritto quello che ho scritto> spiegò il giornalista. E questo era il suo pensiero, pubblicato ne <La Porta Proibita>: <Pechino muore. Nel 1949, quando i comunisti la presero, era una città unica al mondo, un grande esempio di architettura, una città di struggente splendore che sembrava fatta per vivere in eterno>. Non muore Pechino, ma si spegne la sua anima. C’è la Pechino che vuoi nella Pechino di oggi. Ma quella vera, forse, già non c’è più.

hutong-di-pechinoCon la testarda insistenza dei viaggiatori continuiamo a cercarla, seguendo suggestioni che ciascuno di noi – intesi come comunità di curiosi del mondo – insegue assecondando istinto e curiosità. E allora si vaghi pure, fra questi brandelli di Cina, luoghi che per una ragione o per l’altra sono diventati custodi degli spiriti del tempo. A cominciare dal ristorante amato da Deng Xiaoping, l’artefice del cambiamento nell’economia, la guida verso il passaggio dalla totale pianificazione statale all’apertura veso il mercato. Era un’ex residenza nobiliare, <scampata alle demolizioni – ha scritto Marco del Corona, che è stato ottimo corrispondente del Corriere della Sera a Pechino – perché riconvertita in un ristorante sichuanese amato da Deng, si presenta oggi come un set ideale, un artifico decadente tra “M Butterfly” di Cronenberg e “Lussuria” di Ang Lee>. Per avere un’idea, dare un’occhiata al sito www.thechinaclubbeijing.com. Ma dal vivo è un’altra cosa, questo piccolo boutique hotel con ristorante, quasi nascosto in un silenzioso hutong dietro la Città Proibita: il bar, con fantasia frustrata dalla propaganda, si chiama Long March, quella che fece Mao. Ma il tutto vale la visita. Ci sono 10 suite, piccolo capolavoro dello stilista David Tang, con affreschi e decorazioni su seta, tecnologie wireless. Sono a disposizione dei soci, perché per entare qui bisogna essere membri o invitati da uno di loro. Una piccola elite, nella <Cina popolare>.

IL CONTROLLO Come quella che viaggiava sulle auto del regime, le Red Flag Limo, la numero 5 per Deng Xiaoping, la 6 per Zhou Enlai, che la prestò a Nixon durante la visita in Cina nel 1972, e la 7 riservata a Mao. Si può fare un giro per la Pechino che si desidera su quelle vetture, con autista e guida in divisa maoista. Brindando, come forse facevano anche loro, chi può dirlo?, con champagne ghiacciato e smangiucchiando tartine al caviale. Telefonare al Red Capital Club (www.redcapitalclub.com.con), prezzo intorno ai 200 euro limages’ora.

Tutti uguali, in Cina, ma qualcuno lo è sempre stato un po’ più degli altri. E qualcuno meno. Ai Weiwei è un grande artista, nato a Pechino, vissuto a lungo a New York, poi tornato in Cina. E finito in carcere, perché era fra gli oppositori del regime. Ottanta giorni di prigione e in molti si rallegrarono perchè la moglie, quando finalmente ottenne il permesso di andarlo a trovare in cella, confermò che non era stato torturato. La presero come un’ulteriore testimonianza della <maturazione democratica> del paese.

Si sente, a Pechino, il peso di una dittatura, di un regime che vuole controllare e determinare tutto. Ma si sente anche la voglia di libertà, dei giovani in particolare, l’ansia di rinnovare il paese, il desiderio di stare dentro un mondo finalmente regolato da una vera democrazia. Dovranno aspettare. Ed è anche per questo che ogni tanto si ritrovano. In tanti. E sempre lì, a piazza Tien an Men.

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