C’è un sorriso che non si dimentica. E non soltanto perché lo si vede per 172 volte, sulle facce che risplendono lungo i viali di Angkor. E’ il sorriso della quiete dell’animo, della pace interiore, della vita che sembra avere appagato ogni fantasia perché una mente tranquilla è riuscita a placare l’ansia dei desideri. Quel sorriso di Angkor non si dimentica mai: chi lo ha visto, e lo ha ricambiato, lo porta con sè per il resto dei giorni. Come un segreto da custodire, un esempio da imitare, una strada da seguire. E’ il sorriso di Avalokitesvara, uno dei principali Bodhisattva, i seguaci di Buddha che hanno raggiunto la salvezza e sono prossimi al Nirvana.
Sulle torri del Bayon, forse il più bel tempio di Angkor, ci sono 172 volti di Avalokitesvara e con una di quelle meraviglie architettoniche che qui già riuscirono a concepire introno all’anno mille, nel terzo livello del tempio quel volto è visibile da ogni parte, e in qualsiasi punto ci si trovi si vedono almeno una dozzina di facce, di profilo o di fronte. Quel viso gigantesco è all’altezza di chi lo guarda e inquieta e calma, agita e rassicura. Perché lui è il salvatore, l’onnicompassionevole, il veneratissimo discepolo che libera dai pericoli sulla terra.
C’è tutto il grande cuore della piccola Cambogia in quello sguardo d’amore. Questo è l’Oriente dei sogni e dei miti, è l’Oriente puro, quello che non ha filiali commerciali o rappresentanze gastronomiche e non si vende nei negozi di mezzo mondo. E’ l’occhio a mandorla che ancora non conosce esportazione e bisogna arrivare fin quaggiù, sulla riva del Mekong, nella foresta che abbraccia Angkor, nei laghi e nelle paludi, per conoscere i brividi dell’emozione Cambogia, terra di infinite gentilezze. A cominciare dai nomi. Ci sono i monti Elefante, consacrati a un animale potente e utile, anche nei lavori della vita quotidiana per chi ha a che fare con i campi e il legname. E poi ci sono ci sono le cime che si sono volute dedicare al Cardamomo, dove il vento che accarezza le piante regala aromi incantevoli, capaci di stordire.
Cambogia. Già il nome evoca suggestioni che hanno il profumo dolce delle strade d’Oriente, il languore infinito delle acque di fiumi che scorrono larghissimi e lenti, i colori morbidi di un orizzonte avvolto dal fumo sottile degli incensi. E che per questo nasconde e lascia immaginare. Proprio come fanno ancora alcuni templi di Angkor, ritrovati dopo secoli di abbandono grazie alla tenacia di un archeologo francese, Pierre Mouhot. La giungla aveva divorato muraglioni e torri e imposto radici grandi come gigantesche colonne sulle sculture dell’uomo. Angkor è sempre stata una battaglia tra la natura e gli esseri umani: per come fu difficile costruirla e per come è stato incredibile ritrovarla. Alcuni templi, con saggia decisione, sono stati lasciati come la violenza della giungla li ha trasformati, con le radici che sembrano enormi dita tese a trattenere ciò che l’uomo aveva abbandonato e ora rivorrebbe indietro. Come il Ta Phrom. Uno splendore, nello splendore cambogiano di Angkor.