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L’Australia degli Aborigeni Deserto, arte e vie dei canti

aborigeni-australianiLa terra, nel Red Centre australiano, è spesso un arido deserto. E deserto è anche il cielo, senza nuvole nè uccelli. Deserto e bello. Con quell’azzurro intenso, il rosso della sabbia, il verde degli spinifex, le piante basse usate dagli aborigeni per costruire le capanne. E i termitai alti tre metri, grattacieli per formiche lunghe mezzo dito. Gli scienziati dicono che questa è una delle zone più vecchie del pianeta: decine di migliaia di anni hanno cancellato tutto e consegnato al deserto la vita dei gruppi di aborigeni sopravvissuti. I Pintupi si sono arresi fra gli ultimi, ormai quasi 50 anni fa: avevano continuato a vagare in cerca di prede, completamente nudi, come avevano fatto per diecimila anni. Ora offrono dimostrazioni della loro antica saggezza nei tour organizzati con passione dagli studiosi di Alice Springs.

aborigeni-danza-ritualeIL CASELLO DELL’ALTRO MONDO  Venti minuti di jeep e il casello dell’altro mondo è cinquanta metri a nord del Tropico del Capricorno: non c’è nessuna traversa sulla Stuart Highway ma chi conosce la strada sa che la tribù si ritrova proprio lì. Si dice che i Pintupi apprezzassero soprattutto un paio di buone gambe, lunghe e muscolose, indispensabili per andare a caccia di emù e canguri. Ma si racconta pure che ridessero sempre, soddisfatti di una vita che non offriva molto ma che lasciava, a loro, poco altro da desiderare. Oggi le gambe sono meno scattanti e le facce più tristi. «Siamo qui per imparare – dice Phil, una specie di infaticabile Crocodile Dundee che ha dedicato la sua vita agli aborigeni – dimentichiamo tutto: lavatrici, telefoni, aria condizionata. Qui la gente non si lava perchè doccia e bagno aumentano la traspirazione e 40 gradi all’ombra sono una temperatura difficile da sopportare quando c’è poca acqua in giro. Non profumano di lavanda, hanno un altro odore ma questa è casa loro, e funziona così. Nessuno ci ha obbligati a venirli a trovare».

aborigeniLEZIONE DI BOOMERANG Il gruppo di famiglia nella boscaglia lavora i boomerang, che finiranno nei negozi di souvenir, e alle pitture del Dreamtime, che saranno vendute nelle gallerie d’arte. E’ di gran moda tutto quello che è aborigeno. Tanto che già si parla di aboriginerie, concetto commerciale mutuato dalle nostre jeanserie. Si vende qualunque cosa sia prodotta da una persona proposta come artista locale e che mai avrebbe pensato di realizzare oggetti di cui non conosceva nemmeno l’esistenza. Ma con foto autentica dell’autore a 50 dollari si porta via la parure papillon e fazzoletto da tasca, a 85 dollari il top di seta, 13 dollari per una tazza, 10.50 per 6 sottobicchieri, 18 per un cuscino. I quadri, poi, vanno da un minimo di 300 dollari fino a sette, otto, diecimila. Bruce Chatwin, studioso delle popolazioni nomadi e scrittore, ha dedicato un libro, «Le vie dei canti», agli aborigeni australiani. Racconta a pagina 339 lo scontro tra Winston Japurula, un artista affermato, ed Eileen Houston, titolare di una galleria. Lei offre 500 dollari per una «grande tela», Winston ne vuole di più. Di fronte allo stupore della donna d’affari, Winston urla con rabbia la sua richiesta: seimila dollari. «Per poco Mrs Houston non cadde dalo sgabello – scrive Chatwin – «Seimila dollari! Stai scherzando!». «E allora perchè nella sua galleria di Adelaide vende un mio quadro a settemila?».

abo1336566072bARTE NELLA SABBIA «E’ vero, può succedere, ma il mercato dell’arte ha leggi precise, valide non soltanto per gli aborigeni». Jackie è titolare insieme a Lyn di una delle tante gallerie d’arte aborigena che affollano Todd street ad Alice Springs, fa una sconcertante ammissione: «Noi stessi raddoppiamo i prezzi, con un guadagno netto del 100 per cento. Ma gli aborigeni sbaglierebbero a considerare questo un atteggiamento di tipo razzista, o peggio, uno sfruttamento». La Corkwood Dreaming Gallery è elegante, ricercata, affollata: entrano turisti e mercanti. Entra anche Damien, pittore aborigeno. E’ ubriaco alle 10 di mattina: si sforza di stare dritto sulle gambe, ma non ci riesce e barcolla anche da fermo. Vuole vedere i suoi quadri, chiede se ne hanno venduto qualcuno. Ma deve accontentarsi di un anticipo, perchè di incassi per lui ancora non ce ne sono: riceve un pugno di dollari che andranno in birra ma, soprattutto, uno sguardo pieno d’affetto e di comprensione. Jackie è una ragazza affettuosa, anche se non dimentica mai che il suo mestiere è fare affari. «Il pericolo per l’arte indigena – spiega – sono i falsi. Visto il successo, c’è chi si è organizzato e imita tecniche e figure, spacciando come aborigene tele che non lo sono. Certo, abbiamo inventato l’autentica con la fotografia: ma con qualche dollaro può riuscire a convincere chi non hascrupoli a farsi ritrarre sostenendo di essere l’autore».

arte-aborigena-astratta-28475405ORGOGLIO ABORIGENO Cacciati dalle loro terre, perseguitati e sterminati per due secoli. E poi, all’improvviso, coccolati e vezzeggiati. Oggi gli aborigeni subiscono l’interessata attenzione da parte dell’uomo bianco che vuole riscoprire la loro cultura e che in alcuni casi tenta addidirttura di appropiarsene. Perchè l’aborigeno è diventato un business interessante. Il Parlamento approvò una mozione con cui si riconosce che «l’Australia era occupata dagli Aborigeni migliaia di anni prima dell’insediamento britannico del 26 gennaio 1788 e che questo popolo ha subito l’esproprio e la dispersione dopo l’acquisizione delle loro terre tradizionali da parte della Corona Britannica». Oggi le terre sono tornate agli aborigeni che le possiedono e ne concedono l’utilizzazione al governo e alle società minerarie. Sistemate le questioni di principio, anche gli antichi abitanti del nuovissimo continente hanno trovato il modo di girare a loro vantaggio il diverso atteggiamento dell’uomo bianco. Così ora sembrano tutti soddisfatti.

SE LA COPPIA E’ MISTA Ma il problema di questa gente, la loro emarginazione, la loro aborigbig_91665108_7373c750a8terribile solitudine, resta ancora. Lo sanno bene Nick e Cecilia, scozzese lui, aborigena lei. Una coppia mista. Hanno due figli, un terzo in arrivo. Nessuno dirà mai nulla contro di loro, però li guardano sempre tutti. «Questa attenzione non ci disturba più, abbiamo imparato a rispondere con un sorriso». La gente ha una sola idea sugli aborigeni: brutti e sporchi. Quando vedono Cecilia capiscono che possono essere diversi: puliti, gradevoli, educati. Lacoste rosa sotto una tutina premaman grigia, capelli tagliati corti alla maschietta, Cecilia è quasi alla fine della gravidanza. Sa che sarà un altro maschio: «Forse avrà la pelle meno nera del secondo che è già più chiaro del primo». Ed è triste sentirglielo dire.

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