AISHA, IN AMACA SUL TAXI DEL PADRE
Il taxi ha un passeggero in più: è la figlia dell’autista, 2 anni, accoccolata in una specie di amaca sospesa tra lo schienale dei sedili posteriori e lo sportello del portabagagli. <Anche mia moglie lavora e soldi per la baby sitter non ce ne sono: oggi Aisha viene con me>. La piccola dorme e Bashir è tranquillo: ha la faccia stanca, occhiaie profonde ma sguardo sveglio. E il tassametro resta spento: <Non ti preoccupare, per andare fino a piazza dei Martiri mi dai quel che vuoi>. Si lamenterà e chiederà, sorridendo, il 50 per cento in più. <Ero andato a lavorare in Qatar – dice – in un cantiere, per guadagnare di più: ma quando è nata la bambina sono tornato. E’ dura, qui a Beirut>. Per incassare il più possibile applica con elasticità le regole già fragili del taxi condiviso: anche se ha già un cliente a bordo ne carica un altro e un altro ancora. La direzione non conta, porta tutti e abbassa le tariffe, che messe insieme diventano un bel gruzzolo: tanto a Beirut è difficile che qualcuno abbia fretta.
BEIRUT, IERI E OGGI
Beirut è tornata. Non è ancora la Parigi d’Oriente degli Anni Sessanta, ma non è più soltanto Linea Verde e dintorni, lo spietato campo di battaglia di una guerra civile che ha seminato decine di migliaia di morti. Monumenti all’orrore ci sono ancora, palazzi sventrati o crivellati di colpi e non restaurati, come lo scheletro dell’Holiday Inn, la casa dei cecchini: un tragico ammonimento. Beirut è ormai una città nuova. <I miei genitori sono anziani – racconta Sharifa, una signora della buona società libanese – quando sanno che vado in centro mi ripetono di stare attenta. “Vado a fare shopping – li rassicuro ogni volta – combatto solo per farmi fare lo sconto”. Non possiamo far finta che non sia successo niente, ma la guerra è finita da un pezzo. Sono rimasti soltanto i brutti ricordi>.
Il presente è un altro mondo. Fatto anche di una sfrenata e contagiosa voglia di divertirsi. Come se si volessero recuperare gli anni rubati da una terribile malattia. Era terra di nessuno lo spazio che oggi occupa il più glamour degli shopping center, il Beirut souk, in pieno centro, dove si rincorrono i brand del lusso più famosi e cari – Dupont, Piaget, Chopard, Rolex, Hermes, Mont Blanc, Ferrari, Porsche – e una serie infinita di caffè e ristoranti, ombreggiati e confortevoli luoghi di relax, per fumare pipe ad acqua e accarezzare gli hummus con il pane. La tradizione non si smarrisce ma l’occidente e l’America restano un modello: Balthazar, qui a Beirut, è bistrot sempre pieno, identico all’omonimo di Broadway, a New York. Si guarda lontano e con ottimismo a uno stile di vita che sembrava irrecuperabile: <Fai attenzione, straniero – avverte Feisal, titolare di una piccola galleria d’arte – Beirut non è più dei libanesi. Le case belle nei quartieri eleganti, le Ferrari che vedi in giro, le bottiglie di champagne che si stappano ogni notte, tutto si paga con soldi degli emirati, del Qatar, dei sauditi. Sono loro i veri padroni>.
I QUARTIERI DELLA DOLCE VITA
Però l’economia è vivace. Dalle grandi imprese, come il piano di recupero del centro storico, una colossale opera di ricostruzione che ha scatenato molte polemiche, al fiorire di piccole attività: i quartieri di Achrafiye, Gemmayzeh, Homra e ora anche Mar Michael, il più recente hot spot della notte, sono un continuo fiorire di ristoranti, locali, night, bar, discoteche. Nascono, o si trasformano, con una incredibile velocità. Tutte le guide sulla città indicano come ristorante più trendy “Asia”, terrazza con vista sulle cupole azzurre della Moschea di Mohammad Al-Amin. In qualche settimana si è completamente rinnovato, cambiati gli arredi e il nome, ora è “Capitole”, perché sorge nel Capitol building: stessa proprietà ma la cucina fusion orientale è stata sostituita da gastronomia italiana, pasta e risotti. Bella gente e conto salato. Ma è sempre pieno. Per arrivare serve la prenotazione e un animo che non smarrisca la tranquillità davanti a rotoli di filo spinato, cavalli di frisia, qualche soldato che impugna i mitra. Siamo a Beirut, ma davanti all’ambasciata americana di Roma, via Veneto, non c’è minore concentrazione di armi automatiche e blindati.
BEACH CLUB E CACCIATORI DI DOTE
Anche al mattino l’industria della gioia funziona benissimo. I Beach club sono i templi del divertimento in questa città votata alla ricerca della felicità. Noi li chiameremmo stabilimenti, anche se la spiaggia non c’è e le 40 mila lire libanesi, circa 25 euro, dell’ingresso di sabato o domenica – 30 mila negli altri giorni – servono per fare il bagno nelle piscine o nell’idromassaggio, sdraiarsi su un lettino, ma soprattutto per guardare e farsi vedere. Si fanno affari a bordo vasca, si parla di ricostruzione e di import-export, si intrecciano flirt, madri spregiudicate adocchiano mariti per le figlie. Cercatori di dote e cacciatrici di patrimoni si rincorrono e si incontrano, a volte, uniti dalla passione di mettersi in mostra, di lucidare muscoli o curve con tonnellate di olio. Più brillano, più sono disponibili. E se fuori ci sono signore e signorine con il chador, velate, prigioniere volontarie o costrette di nere palandrane che cancellano corpi e volti, a volte anche l’anima, nel beach club tutto è esibito con naturalezza, come a Miami o a Biarritz, minibikini e maxiseni, sui quali, quando la natura è stata avara, interviene con generosità la mano dell’uomo.
UNA CITTA’ TOLLERANTE E SICURA
E’ la complessità della società libanese, un mix che può apparire fin troppo ardito ma è la caratteristica di questo mondo. Può stupire chi non la conosce, ma Beirut è estremamente tollerante. Nel cuore di Hamra, quartiere definito ancora musulmano, c’è l’Università americana, 10 mila iscritti di ogni fede e nazionalità, docenti di prestigio, splendido parco, una strada, rue Bliss, concepita per le loro esigenze, dalle librerie ai fast food, ma diventata uno dei luoghi di ritrovo della Beirut giovane. L’alcol non è proibito, ma chi vuole evitare di berlo lo fa, senza guardare come volgare peccatore chi assaggia un bicchiere di vino. I giovani fidanzati si abbracciano per strada, anche se lei ha il capo velato, i gay non vengono lapidati e anzi, sono clienti graditi ovunque perché, come nel resto del mondo, hanno un’ottima propensione alla spesa. Beirut corre e si rinnova. Ed è sicura, considerata per statistiche e sensazioni fra le città più tranquille del mondo. <Una donna sola gira senza problemi. E se per caso ne ha uno, incontra sempre qualcuno che l’aiuta>. Zena lavora in un centro commerciale, ha 26 anni, veste come vuole, è musulmana, single e ha tanta voglia di divertirsi. <Posso dirlo? Mi sono sentita meno sicura a Roma e Milano>. Sarà l’indole degli abitanti, votati alla religione dell’ospitalità, sarà la triste storia recente, sarà la presenza di pattuglie, ma la sensazione che si ha, anche a notte fonda, è di assoluta serenità.
1 – continua