Il Reportage

Yasawa e Champagne beach:
ultimo paradiso alle Fiji

yasawa-2La jeep si arrampica con affanno sulle colline di Yasawa e l’ultimo tornante è una scalata al tetto dell’arcipelago, a questa terrazza panoramica che la natura ha costruito per fermare il respiro a chi si affaccia sul mare. E’ bello da far paura questo mondo lontano dal mondo, una tavolozza di colori che per ogni tinta ha mille tonalità, per ogni profumo mille sfumature, per ogni desiderio una risposta pronta. Yasawa è il paradiso sempre sognato, è l’isola delle meraviglie, è la pace assoluta di un mare tranquillo, la calma piatta che culla ogni pigrizia e lascia che a ridosso della spiaggia dorata l’acqua sia bianca e trasparente e poi la dipinge di celeste, azzurro, turchese, verde, blu, in un crescendo imperioso e wagneriano, una sinfonia della natura che si conclude all’orizzonte, lì dove l’isola si separa dalla civiltà. Yasawa è il verde carnoso delle palme che arrivano sulle spiagge, delle fronde ombrose, della solitudine assoluta in un’insenatura che è un arco di trionfo incisco nella baia: la chiamano Champagne beach, è il rifugio incantato che consegna al naufragio che tutti vorremmo. Perchè l’unico albergo dell’isola organizza tutto, il trasporto in jeep e il ritorno in barca, e nell’angolo con la miglior vista piazza ombrellone, stuoie e frigobar con champagne e aragosta, frutti di mare e formaggi francesi, ananas e gelato. Tre chilometri di sabbia, una parentesi aperta tra il Pacifico e il verde, dove non c’è nessun altro, perchè Champagne beach è riservata per una coppia al giorno. Può capitare, al massimo, di incontare giovani pescatori, o anziane donne dei villaggi. Altri umani non si vedono.

Fji1IL GRAN CAPO Ma anche i turisti sono rari e i nuovi arrivi non sfuggono al Tui di Yasawa, il gran capo dei villaggio vicino all’albergo: per un vero benvenuto è lui che convoca l’assemblea del suo popolo. Riceve di sera, quando l’aliseo infastidisce il falò davanti alla sua grande capanna. Uomini alti due metri cantano la bellezza dell’isola, «Totoka Yasawa, Yasawa i rara», hanno polsi e caviglie ornati di foglie, volti dipinti di nero: le donne indossano vesti di paglia e magliette rosa, in segno di festa, e intonano un coro muto, un sorprendente Nabucco del Pacifico. Finchè tacciono voci e chitarre e dalla baia arriva la lenta melodia delle onde che si frangono sulla scogliera: è il momento del silenzio, si attende con rispetto che il capo pronunci la solenne formula di benvenuto. Le mani battono quattro volte, e chi ha invitato lo straniero spiega perchè: battono altre quattro volte le mani, e il capo annuisce. Il villaggio applaude e l’accoglienza è ufficiale, l’antico rito dell’ospitalità è compiuto, può cominciare lo scambio dei doni: qualche chilo di kava, una radice in vendita in tutti i mercati, basta per fare buona figura con il capo che invece offre la yaqona, la bevanda tradizionale, preparata proprio a base di kava.

fiji464_8800b«TOVOLEA MADA» Capelli corti, ricci e neri, mani grandi come racchette da tennis, denti candidi e aguzzi, il gran capo porge con solennità il bilo, un guscio di noce di cocco trasformato in tazza. «Tovolea mada» vuol dire «Prego, assaggia»: è un liquido grigiastro, dall’odore penetrante, denso come fango, con un aspetto per niente invitante. Ma non c’è scampo, non c’è alcuna possibilità di rifiuto se non si vuole offendere l’intero villaggio. Quella bevanda è il loro calumet della pace, perchè la tazza passa di bocca in bocca, per consacrare un’amicizia appena nata. Bisogna bere. Ed è bene farlo nel modo più veloce possibile, perchè la tradizione impone di ingurgitare tutto d’un fiato, ma anche le regole della sopravvivenza suggeriscono di fare così: perchè i piccoli sorsi diventano interminabile tortura, mentre un’alluvione violenta può spedire il liquido direttamente dalle labbra alla gola, saltando sopra le papille gustative. Ma non si sfugge del tutto al gusto acre ed amaro che invade la bocca e ai granellini che si fermano tra denti e palato, pizzicano e danno fastidio, sembrano terra e invece sono pezzetti di pepe. Poche storie, la kava è terribile.

QUANDO ERANO FEROCI Ma la festa comincia così, con il brindisi che precede le danze. Qualche secolo fa erano cannibali feroci questi uomini che ora ballano fingendo l’aria truce di allora, con lance lunghe e affilate che caricano sulle braccia tese come primitivi olimpionici di giavellotto, il torace nudo, i pettorali gonfi, la pelle scurafijiDSC_0512-2_edited-1 e sudata. Il balletto è uno scontro tra nemici mimato talmente bene da sembrare vero, con salti acrobatici, urla e sincronie da Bolscioi. Una grazia rude, che le donne ingentiliscono con il loro coro e le movenze languide delle vahinè dei mari del sud, lo sguardo perduto, le mani che accarezzano la fronte a imitare il gesto delle loro antenate che davvero cercavano verso l’orizzonte il profilo delle barche che annunciava il ritorno di mariti e figli. E chi era stato coraggioso, in battaglia o nella pesca, chi meritava un premio o un encomio, riceveva il Tabua, un dente di capodoglio, il più alto segno di rispetto che si possa concedere nelle Fiji. Adesso amano una vita più comoda, senza troppe preoccupazioni. Sarà pure una strana combinazione linguistica, ma lavoro, in figiano, si dice «cakacaka» e anche loro la considerano una brutta parola.

fijiindexIL VENTO DELL’OCEANO Qui possono anche permettersi di avere giornate più spensierate, qui siamo lontani dal caos di Viti Levu, dell’isola grande che è capitale figiana, avvelenata dagli ingorghi di auto e motoscafi che portano comitive di turisti alle escursione giornaliere nella isole vicine che erano e restano bellissime, ma sono soffocate dalla folla. Qui si respira il vento dell’oceano, si ascolta la voce degli abissi, si parla con gli squali. Come fanno i Bete, i sacerdoti delle tribù di queste isole. Sono i soli a conoscere la nenia segreta che incanta i pescecani e li fa correre verso la riva, cinquanta, sessanta tutti insieme, guidati dal mostro dei mari, lo squalo bianco. Gli Spiriti parlano con il Bete, perchè è uno dei custodi delle energie magiche che gli dei distribuiscono a una piccola schiera di eletti capaci di governare i destini dell’oceano e dell’arcipelago e al Bete affidano sempre la stessa missione, tra ottobre e novembre. Con una candida camicia di cotone, il paramento sacro, e con l’energia che la vecchiaia gli concede, conficca un palo nella barriera corallina, nello stesso buco usato da decine di anni: in cima lega un pezzo di masi, una stoffa ricavata dalla corteccia, che il vento agita come una bandiera. Da quel momento, nessuno può avvicinarsi o pescare intorno al palo: per un mese, ogni mattina, il Bete celebra in assoluta solitudine la cerimonia della yaqona, innalza il bilo verso il cielo e santifica la kava prima di berla. Finchè, nel giorno che gli spiriti gli hanno suggerito, entra in mare: con i piedi nell’acqua e la testa nel cielo, trasmette agli squali il suo pensiero, e canta sottovoce, intona un ordine con le note di una nenia. yasawa_island_beachE gli squali obbediscono, quasi con diffidenza all’inizio, come fanno gli invitati in una casa sconosciuta: si muovono lenti, si guardano intorno, un po’ a disagio nell’acqua che diventa sempre più bassa eppure continuano ad avvicinarsi, attratti da un irresistibile richiamo. Poi prendono confidenza, si sentono improvvisamente a loro agio e si spostano, nuotano, avanzano, galleggiano, tornano indietro, si immergono, giocano, quasi si scontrano per quanto diventano numerosi. Ma la cerimonia è crudele, perchè spuntano mazze e arpioni e l’acqua ribolle di schiuma e poi si colora di rosso, le pinne fremono disperate, le code cercano invano una via di fuga e il sangue schizza sui volti tirati dei pescatori. Più della pietà, la mattanza conosce il rispetto, e per questo risparmia il capobranco, il gigantesco squalo bianco che stregato dal sacerdote ha portato gli altri al massacro: il suo sangue è sacro, farlo scorrere in acqua sarebbe sacrilegio, condannerebbe gli abitanti del villaggio alla morte e non farebbe più tornare gli altri squali. La leggenda vuole che il pescecane ricambi la cortesia: ordinerà ai suoi sudditi di non divorare i pescatori e chiunque si trovi in mare. Chi ha salvato la vita del Bianco, non avrà più nulla da temere dagli amici squali.

Fijior seminar 4 FEDE E CENERE Le notti del ringraziamento hanno sempre per palcoscenico lo spiazzo davanti alla capanna del Tui. E’ qui che si arroventano le pietre per il firewalking, il rito che ha reso famosi i fijiani nel mondo, una passeggiata sulle pietre roventi che è vero sentimento religioso, sincera espressione di fede. Camminano con i piedi nell’Inferno, a oltre 400 gradi, sulle spalle e sulla testa portano pesi, perchè i piedi siano schiacciati e nemmeno un millimetro possa sfuggire al contatto. Affrontano così la passerella della fede, il corpo cosparso di cenere, gli occhi socchiusi, le braccia larghe per non perdere l’equilibrio. E intorno a loro, gli altri fedeli pregano, con la stessa intensità di credenti, e battono le mani e invocano gli dei che governano l’aliseo e gli squali, l’uomo e le onde. E quando la passeggiata è finita, il Bete e il Tui impugnano le torce e vanno verso la scogliera, a placare, con il loro potere, l’impeto della natura: alzano le braccia e il vento si placa e il mare si calma. Sorridono allo straniero: «Domani – dicono – non devi avere paura. Gli squali ti saluteranno da lontano a Champagne beach. Totoka Yasawa, Yasawa i rara».

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