La visita <fai da te> non è mai incoraggiata: bisogna affidarsi a qualche organizzazione di provata esperienza, e ce ne sono molte, comprese quelle che vengono proposte negli alberghi. E’ un piccolo tour da non trascurare, se si vuole provare a capire come funziona il mondo. Soweto è il centro storico della sofferenza, o la periferia del pianeta, a secondo di come la si guarda. E l’incontro di queste due bambine è commovente.
Ma in questa orda di sfortunati e miserabili, si scoprono vari livelli di povertà, che rendono la gente che abita lì, in questa baraccopoli chiamata township, diversa fra eguali. Chi non ha l’acqua e chi ha sbarre e cancelli davanti alla casetta in muratora, che già di per sé sarebbe un gran lusso in questo pezzo triste del Sudafrica.
Ricordo gli occhi di una bambina, avrà avuto cinque anni, vivaci, saettanti, attenti. Tristi. Ma non rassegnati.
Era la prima tappa di quel giro fra le case e i gironi infernali appena fuori Johannesbourg. Cominciammo da chi stava peggio, dalla baracca in lameira di Annemarie, ce la presentarono così. La madre disse di chiamarsi Rose, e rimase fuori. Dentro casa, ci guidò la piccola. Senza mai spostarsi dal punto in cui ci aveva fatto entrare. Una stanza di tre metri per quattro, pavimento al naturale, soltanto terra ben spazzata, in modo che non ci fossero sassolini, rilievi: poteva sembrare una moquette beige, per quanto era pulita e livellata. Ma era terra.
Lì vivevano madre e figlia, il padre chissà dov’era e chissà se era mai entrato in quella stanza. Nessuna parola, nessun sorriso: perché non c’era nulla da chiedere e neppure niente da ridere. Una batteria sradicata da un camion assicurava l’energia per guardare la televisione, unico <lusso>: niente frigo, niente ventilatore, niente scaldabagno. Perché non solo non c’era acqua, ma non c’era neppure il bagno.
C’era una bambina d’Occidente, a visitare quel luogo. E imparò molto rimanendo in quel posto, sia pure pochi minuti. Molto le insegnò anche lo sguardo di quella bambina, che non abbassò mai gli occhi di fronte alla sua coetanea più fortunata. Non si parlarono, ma quel silenzio fu utile per capire. La bimba d’Occidente si avvicinò alla madre e le domandò: <Perché questa bambina è povera?>.
La donna rispose citando la storia, il razzismo, i bianchi che odiavano i neri, le battaglie con la polizia che in quegli spazi infiniti costarono molte vite. Citò Mandela, la speranza, un popolo che finalmente ha trovato la sua strada anche se le difficoltà restano. Ma la bimba d’Occidente insistette e fece una domanda ancora più difficile: <Perché esistono i poveri?>. Il tempo passava e le bambine si avvicinarono. Finchè si trovarono accanto, con le dita incrociate, la mano di una in quella dell’altra. <Mamma, voglio che Annemarie stia un giorno con noi>. Cominciò una trattativa, con i turisti bianchi che chiedevano ai neri di Soweto di poter invitare a pranzo una bambina, strapparla via da una baracca di latta per una giornata.
Fu una bella giornata. E quelle due bambine si scrivono ancora. Chissà se si rincontreranno. Per ora le lettere arrivano ancora puntuali. Annemarie non ha cambiato indirizzo.